domenica 3 ottobre 2004

sull'Unità
di giovedì 30 settembre 2004

DUE LETTERE PUBBLICATE:
UNA DI PAOLO FIORI NASTRO
L'ALTRA DI DAVID ARMANDO

Caro Cancrini, ho apprezzato...


Prof.Paolo Fiori Nastro, S.S. di psichiatria e psicoterapia, Università di Roma La Sapienza
Cara Unità, da addetto ai lavori ho letto con grande interesse, ed ho molto apprezzato, la risposta di L. Cancrini alla lettera del Sig. Ugo Pirro, pubblicata sul vostro giornale il 27 09 us. L’elemento che ho trovato suggestivo e stimolante è stato l’aver inserito la storia e la ricerca di Massimo Fagioli all’interno di una riflessione su “movimenti considerati culturalmente e socialmente rivoluzionari”. Quello che vorrei sottolineare e specificare è che l’elemento veramente rivoluzionario, all’interno della storia di Fagioli, è la nuova teoria pubblicata oltre che nel libro già citato nell’articolo Istinto di morte e conoscenza anche in altri due volumi pubblicati a distanza di pochi anni dal primo. Teoria che rappresenta il germe da cui sono poi derivate sia la sua critica radicale alla psicoanalisi che la sua prassi psicoterapeutica pubblica, nota come Analisi collettiva. Ciò che a mio parere va sottolineato è che la pubblicazione dei tre volumi ha fatto sì che emergesse, nei primi anni ’70, l’immagine pubblica di uno psichiatra che proponeva la possibilità di una psicoterapia realmente trasformativa. Ritengo che sia questa identità o immagine di psichiatra che ha spinto poi N.Lalli ad invitare M. Fagioli all’Università (1975) ma soprattutto ha spinto centinaia e forse migliaia di persone a rivolgersi a Fagioli per chiedere la cura della propria malattia. Si è trattato quindi di una domanda emersa spontaneamente nella società, alla quale Fagioli ha avuto il coraggio e forse la “presunzione” di saper rispondere. Ritengo che ciò sia accaduto in virtù del fatto che la prassi terapeutica definita Analisi Collettiva è basata sin dal suo inizio su tre pilastri fondamentali: setting – transfert – interpretazione dei sogni. In particolare due parole sul setting che ci servono per evidenziarne l’aspetto “rivoluzionario”.
Fagioli è riuscito a conciliare quanto non era mai stato realizzato e cioè il rigoroso rispetto del setting e la assoluta libertà di ciascun partecipante che può, appunto, liberamente regolare la modalità e l’intensità del suo rapporto con il terapeuta. Rapporto, inoltre, mai soggetto ad alcuna clausola contrattuale neppure di natura economica. Fagioli è riuscito così a portare nel privato quanto è prerogativa della struttura pubblica, cioè la libertà e la gratuità della prestazione medica. Il rigoroso rispetto del setting vuol dire anche che la prestazione medica richiede un certo tipo di rapporto (definito transfert) che si può realizzare soltanto all’interno dello spazio e del tempo della seduta di psicoterapia. Terminato quel tempo e usciti da quello spazio ognuno dei partecipanti è libero di intraprendere le ricerche che ritiene più stimolanti. [...] L’essere medico e l’essere paziente rimangono rigorosamente circoscritti alla seduta di psicoterapia.


Parliamone ancora...

David Armando, Ricercatore Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno - CNR
Caro Cancrini, la sua risposta, sull’“Unità” del 27 u.s., a un lettore che ricordava la sua partecipazione al convegno napoletano del 1996 per i 25 anni del libro di Massimo Fagioli “Istinto di morte e conoscenza” (convegno alla pubblicazione dei cui atti, come lei sa, ho collaborato) ha il merito di riproporre la discussione su un’esperienza – quella di Fagioli, appunto, e della ricerca collettiva che a lui fa riferimento – la cui rilevanza nell’attuale panorama culturale è a mio avviso assai maggiore del rilievo attribuito ad essa dai mezzi di informazione, e di farlo in termini assai diversi da quelli che spesso in passato (non da lei) sono stati usati.
Già dal titolo (“La storia dell’uomo, tra chiese e rivoluzioni”) e poi dalle prime righe questo è evidente: non c’è più il “selvaggio” dei tempi lontani ma alla vicenda di Fagioli è attribuita rilevanza storica nel grande contesto delle “rivoluzioni” contro le Chiese, siano esse quella cristiana, quella marxista, quella psicoanalitica .
Non concordo con alcune delle sue considerazioni, come quelle che riguardano il vasto gruppo di persone che a vario titolo e in varie forme hanno seguito e seguono la ricerca teorica e la prassi terapeutica di Fagioli, ma questo rientra nel libero gioco delle opinioni senza il quale non esiste dialettica. C’è un punto, però, in cui credo francamente che la sua ricostruzione dei fatti non corrisponda alla realtà. È dove accomuna la posizione di Fagioli con i tentativi «eretici» di Lacan e Fromm di «squarciare il velo dell’ortodossia» in nome «di un ritorno... a quello che essi ritenevano il messaggio originale di Freud». Al contrario, Fagioli non individua nel pensiero di Freud un nucleo «originale e creativo» solo in un secondo tempo irrigidito in una «pratica di normalizzazione» ad opera dell’istituzione psicoanalitica creata per difenderlo, bensì punta il dito alla radice, sulla sua inconsistenza teorica, sui fondamenti religiosi dello stesso concetto di inconscio, che Freud peraltro non ha scoperto ma ha ripreso da una lunga tradizione precedente.
In altre parole, il «silenzio dell’analista» denunciato nel passo di “Istinto” che lei cita non è attribuito all’istituzione ma all’assenza, a monte, di un pensiero valido. Proprio il fatto che la “rivoluzione” di Fagioli abbia avuto come obiettivo la teoria, e solo conseguentemente le istituzioni, la rende distante e diversa dalle tante prassi senza teoria che costituiscono l’arcipelago della contestazione del ’68, in cui pure storicamente e cronologicamente essa si situa, e ha reso possibile che sulla sua base si sia svolta negli ultimi trent’anni una libera ricerca che ha mostrato e mostra la sua vitalità sia sul piano strettamente psichiatrico che su quello più ampiamente culturale.