A PROPOSITO DEL NULLA NELLA MISTICA EBRAICA








A PROPOSITO DEL NULLA NELLA MISTICA EBRAICA
estratti da Gershom Scholem, Lo Zòhar (Sèfer ha-Zòhar, o “libro dello splendore”),
in Le grandi correnti della mistica ebraica (1949), capitolo V. La dottrina teosofica dello Zòhar. trad. di Guido Russo, Milano: Il Saggiatore, 1965; poi Genova: Il melangolo, 1982; poi Torino: Einaudi, 1993 (con introduzione di Giulio Busi), pp. 226,227 e passim dell'edizione de Il melangolo.
Si ringrazia Teresa Coltellese 

«La mistica ebraica [è] incentrata sull’idea di un nulla nell’intimo di ogni essere»
Paolo Zellini, in “La mistica della fisica”, Repubblica 30.8.15, qui

«sicuramente c’è una grande affinità tra il pensiero di Heidegger. e il pensiero ebraico: penso al concetto del Nulla»
Donatella Di Cesare nelle conclusioni del dibattito con Diego Fusaro tenutosi a Civitanoma Marche il 1 agosto, il video disponibile qui
«l’idea di una uguaglianza tra gli uomini è un mito astratto»
il rabbino Della Rocca nell’articolo di Stefano Jesurun su Corriere del 1.9.15, qui
«Ayin (in ebraico: אַיִן‎?, trad. "nulla", correlato a Ain- "non") è un importante concetto della Cabala e della filosofia chassidica: dalla prospettiva Divina, la Creazione avviene "Ayin me-Yesh" ("Nulla dall'Essere"), poiché solo Dio possiede esistenza assoluta; la Creazione è dipendente dal flusso continuo della vitalità Divina, senza la quale ritornerebbe nel Nulla».
«Per me gli "ebrei" non esistono: per me esistono solo le donne egli uomini»
Gershom Scholem, nel quinto capitolo del suo "Le grandi correnti della mistica ebraica", ha scritto:
«Dio, nel più profondo segreto delle sue manifestazioni, là dove Egli dà l’impulso alla creazione, si chiama “Egli”; Dio, nel pieno dispiegarsi della sua essenza, della grazia, e dell’amore, che lo rendono accessibile alla meditazione dei nostri cuori, e perciò anche gli consentono di essere espresso, si chiama “Tu”;  ma Dio nelle sue supreme manifestazioni, dove tutta la pienezza del suo essere giunge alla fine a realizzarsi nell’ultimo e più comprensivo dei suoi attributi, si chiama “Io”.
Questo è il grado della vera individuazione, nella quale Dio come persona dice a se stesso “Io”. Questo “Io” di Dio, secondo i cabbalisti della scuola teosofica — e questa è una delle loro dottrine più importanti e profonde - è la Shekhinà, la presenza e l’immanenza di Dio in tutta la creazione. È il punto in cui l’uomo, se raggiunge la più profonda conoscenza del proprio io, si imbatte in Dio, nell’Io divino, e solo da questo incontro — che apre la porta al mondo di Dio — può procedere nei gradi più profondi dell’Essere divino, nel suo “Tu” e nel suo “Egli”, e fin nelle profondità del Nulla». [...] 
«Un simbolo, molto frequente nello Zòhar e nella sua scuola, usato per rappresentare il dispiegarsi della Divinità nella sua rivelazione, è quello che deriva dal concetto del mistico Nulla.
La creazione fondamentale, secondo il cabbalista, è quella che ha luogo in Dio stesso; e [...]   nessun altro nuovo atto essenziale di creazione che si svolga al di fuori delle Sefiròth.
La creazione del mondo, e cioè la produzione di qualcosa dal Nulla, non è altro che l’aspetto esteriore di un movimento interno, e a quanto pare eterno, che ha luogo in Dio stesso.
Il più profondo di tutti i processi teosofici, che comprende in sé il problema della creazione e della rivelazione, è rappresentato dalla conversione del nascosto En-Sof alla creazione.
Questa conversione può essere concepita sotto l’immagine dell’improvviso emergere della volontà primordiale; ma i cabbalisti della scuola teosofica amano anche descriverla servendosi dell’immagine più ardita del Nulla. Quell’improvviso intimo movimento che fa irrompere all’esterno e esteriorizzarsi la divinità ripiegata in se stessa, prima irradiante la sua luce solo all’interno, questa rivoluzione prospettica trasforma l’En-Sof, la ineffabile pienezza, nel “Nulla”. È da questo “Nulla” mistico che procedono tutti gli altri momenti del dispiegarsi di sé di Dio nelle Sefiròth. Questo misterioso Nulla — che i cabbalisti designano come prima Sefirà, e anche come “suprema corona” della Divinità — rappresenta, se così posso esprimermi, l’abisso che è visibile nella manchevolezza di ogni essere».[...]
«Cabbalisti che hanno ulteriormente sviluppato con la loro meditazione questa idea dello Zohar (...) insegnano che in ogni cambiamento della realtà, in ogni mutamento di forme, in ogni transizione di una cosa da uno stato ad un altro, questo abisso del Nulla viene nuovamente attraversato e si manifesta in un momento mistico; nessuna cosa può mai trasformarsi senza entrare in contatto con questa regione dell’irrelato, del puro essere, che il mistico chiama appunto col nome di Nulla».[...]
«La parola ebraica per “Nulla”, ’àyin (ein), ha le stesse consonanti di ’anì, “io”; ma l’“Io” di Dio è — come abbiamo visto prima — quell’ultimo grado tra le Sefiròth nel quale la personalità di Dio — comprendente in sé tutti gli altri gradi — si rivela alla sua stessa creazione. In quanto quindi l’àyin diventa ’anì, il Nulla nell’atto della progressiva manifestazione del suo contenuto trapassa repentinamente nelle Sefiròth e da ultimo si trasforma nell’Io, in una dialettica mistica di cui tesi e antitesi si sintetizzano quindi in Dio stesso».

Una scheda su Gershom Scholem, qui

Lessico: Ein Sof,  Sephirot
Ein Sof è "definizione" o "espressione" per Dio, soprattutto connessa all'origine divina di tutta l'esistenza creata, in contrasto allo Ein (o Ayn), che è Nulla. Nella Cabala ebraica viene concepito come Dio prima della sua automanifestazione, tradotto letteralmente in italiano con Nulla Infinito. Ein  Sof, l'Antico di tutti gli Antichi, emana le 10 Sephirot nel grembo cosmico dell'Ein in un modo che causa l'universo creato.
Ein Sof offre una risposta razionale/spirituale alle domande "Perché esistono le cose?" e "Qual è il significato della vita umana?" – Ein Sof genera un mondo affinché Egli, come fonte di ogni significato e valore, possa venire a conoscere Se Stesso. Ein Sof è al tempo stesso la pienezza dell'essere e il nulla assoluto.
L'idea di Ein Sof fu descritta per la prima volta dal cabalista del XII secolo, Isacco il Cieco. Egli insegnò che Ein Sof precede il pensiero (machshavah), e precede persino il Nulla (ayin / Ein) dal quale nasce il pensiero.
Il Nulla è visto come un livello di consapevolezza che è il risultato dell’“annientamento del pensiero”.
«Tutti gli esseri provengono dall'etere primordiale incomprensibile, e la loro esistenza [yeshuth] viene dal puro Nulla» (Perush Aggadot, 107)